Antichi ricordi della notte di San Giovanni

di Massimo Ciani Nella notte di San Giovanni la tradizione contadina proponeva i fuochi. Tanti falò accesi che illuminavano a giorno campagne addormentate. Specie in cima alle colline, in modo da poter rotolare lungo i pendii come tante ruote infuocate.

Il contadino, con questi fuochi, intendeva aiutare il sole che cominciava a scendere sull’orizzonte perchè non l’abbandonasse e continuasse a offrire la sua energia ai campi. Quando ero bambino e mi recavo al podere dei miei zii a Poggio Marsigli, tra Granaione e Piantaverna, quello del falò di San Giovanni era considerato un rito magico.

Mio zio Fiore, prima del tramonto, preparava sull’aia un mucchiolo di paglia, sterpi e fieno secco. Dopo una cena frugale, scendevamo nell’aia e mio zio, con un fiammifero, incendiava il falò. Le fiamme cominciavano subito ad alzarsi e gli sterpi crepitavano tra schianti e soffi, mentre un nugolo di zanzare e di altri insetti notturni danzava intorno al fumo che si spandeva nella campagna rugiadosa. A quel punto, come per un magico appuntamento, cominciavi ad intravedere fuochi accesi all’orizzonte, in lontananza, per ogni dove.

Ogni podere rispondeva al richiamo del podere accanto e nel paesaggio usciva fuori uno spettacolo affascinante. Dall’Abbandonato, dal Tesorino, da Napoli, da Firenze, da Casetta. Da ogni casolare, giù fino a Cana e al poggio della Rustica, s’innalzavano bagliori. La campagna pareva in preda ad un inarrestabile incendio. L’intera comunità rurale celebrava con devozione la festa di San Giovanni con questi fuochi propiziatori che, da bambino, osservavo con gli occhi sgranati dallo stupore. Poi, a poco a poco, i bagliori diventavano lumi sempre più fiochi, sino a spegnersi definitivamente. La notte ritornava signora incontrastata. I grilli riprendevano il loro monotono cri cri e le lucciole ricominciavano le loro danze. Nell’aria un odore acre di bruciato che sarebbe persistito sino all’alba.