Commercio: Cgil e Filcams sul cambio di prospettiva portato dalla crisi per Covid-19

Renzetti e Stacchini: «Lockdown e pandemia hanno cambiato i consumatori. Il commercio sarà investito da uno tsunami. Non se ne uscirà con precarizzazione e lavoro grigio. Ma con formazione e capacità di adattamento. Serve un patto con i dipendenti (810-12.000) e un progetto d’innovazione con investimenti».

Grosseto: Nei giorni in cui si riprogetta il futuro post pandemia – dicono Claudio Renzetti, segretario della Cgil, e Massimiliano Stacchini, segretario della Filcams - il settore dei servizi commerciali è, a ragion veduta, uno di quelli in “crisi di nervi”. Continuiamo tutti a dirci che nulla sarà più come prima del lockdown, ma di fatto in pochi intuiscono esattamente come sono cambiate e cambieranno le modalità di consumo, e di conseguenza la rete di distribuzione commerciale.
Di alcune cose siamo certi – aggiungono i due sindacalisti - l’isolamento sociale dei mesi scorsi ha aperto un baratro nella fiducia delle persone. Che oggi sono impaurite rispetto al futuro e avvertono più che mai l’incertezza come la minaccia principale relativamente ai propri progetti di vita. E che di conseguenza riducono i consumi e incrementano il livello dei risparmi. C’è poi un altro aspetto poco considerato. La durezza della crisi ha spinto molte persone a riconsiderare il proprio approccio ai consumi. E a cambiare stili di vita, stabilendo una diversa gerarchia dei beni considerati indispensabili e prioritari. Lasciandosi alle spalle comportamenti improntati al consumismo.
Entrambe le cose hanno avuto come effetto di modificare i consumi e il loro modo di fruirli. Come testimoniano l’incremento enorme del ricorso all’e-commerce e alle App di delivery del cibo. Nuove abitudini di consumo dalle quali difficilmente torneremo indietro. Cosa che a sua volta avrà di sicuro un impatto negativo sul commercio di vicinato, con le piccole e medie superfici di vendita che accuseranno il colpo più di tutti. Non escludendo nemmeno che tutto ciò impatti sui grandi supermercati e centri commerciali.
Quale sarà il destino del commercio e dei suoi circa 13.000 addetti, non è peraltro una questione secondaria in una provincia come la nostra. Dove alla moria delle piccole attività commerciali registrata in questi anni di recessione/stagnazione, potrebbe secondo le principali associazioni di categoria aggiungersi una perdita secca di almeno un altro 20% di quelle superstiti. In primo luogo una bella fetta dei 5.119 piccoli esercizi commerciali (1.054 mq ogni 1.000 abitanti) presenti in provincia, molti dei quali dipendenti dai flussi turistici. Ma anche qualcuna delle 202 medie strutture (715 mq/1000 abitanti). E forse delle otto grandi strutture (202 mq/1000 abitanti).
Già oggi è evidente il trend dell’ulteriore sviluppo dell’e-commerce, dopo che negli anni scorsi i grandi portali – da Amazon a E-Bay, passando per Alibaba – hanno falcidiato il commercio tradizionale, sviluppando reti capillari di consegna della merce via corriere. Sia nell’ambito del business to business, sia in quello del business to consumer.
Le evoluzioni dell’e-commerce sono continue: si va dalla “vendita omnicanale” – rete virtuale e rete di store interconnessi – al cosiddetto “e-commerce di prossimità”, con la digitalizzazione dei canali di vendita a sostegno delle attività commerciali locali. Fino al dilagante “click&collect”, i “micro-marketplace” locali e l’interconnessione costante fra siti, social network o App di delivery. Cui si accompagnano tutte le tumultuose innovazioni nei metodi di pagamento.
Insomma, rimanere sul mercato richiederà sempre più professionalità e un approccio multitasking, per adeguarsi alle continue novità tecnologiche che investiranno il commercio, e per aggiornare le competenze di relazione con i clienti.
Chiaro che tutto questo chiamerà in causa i titolari delle attività commerciali, ma anche i loro dipendenti. Stare all’altezza della sfida per sopravvivere e crescere, pertanto, non sarà garantito né dall’indebolimento delle tutele dei dipendenti, né dall’ampliamento delle zone di lavoro grigio, quando non di quello in nero vero e proprio. O dal ricorso improprio a forme contrattuali come gli stages o i tirocini, che troppo spesso in questi anni sono stati utilizzati al solo scopo di abbattere il costo del lavoro.
In questa fase, quindi – concludono Renzetti e Stacchini – per la Cgil bisogna tutelare il lavoro che è rimasto, anche ricorrendo in modo massiccio agli ammortizzatori sociali, se necessario. Ma soprattutto pensare al finanziamento di percorsi di aggiornamento professionale e di innovazione delle metodologie di vendita. Ragionando su strumenti finanziari dedicati».