'Sale e sangria', Pietro De Viola torna alla ribalta con un nuovo libro

di Tìndara RasiGrosseto: Dopo l'enorme successo di "Alice senza niente", pubblicato nel 2011 da Terre di Mezzo, Pietro De Viola torna alla ribalta con "Sale e sangria", edito da Oligo Editore. De Viola ha vissuto per diverso tempo a Grosseto. Attualmente vive e lavora in Lombardia.

Come ci si incontra, nella vita? Per background culturale, direi; e per assonanze. Basta avere un gene al retrogusto papillogustativo francese ed è fatta. Non si può andare a esplodere di vita in Spagna sei mesi, e fondersi con catalani, baschi, galleghi. Se si va lì da Novara (non quella nordica, ma quella terronea), se si va lì da Barcellona (quella terronea, non quella esterronea), si diventa cittadini del mondo e le olandesine, le parigine, le castiglionesi (mezzo maremmane? non castigliane?), le si intercetta tutte. E un po’ stufa incontrare anche lì solo italiani, non ci si va per quello in Spagna, ma per gustarsi il mondo.
Michele, protagonista del libro “Sale e Sangria” di De Viola, un anonimo ragazzo siciliano dall’animo puro che si donava a te, Dio, si trasforma, e non solo per nome, in Miguel… o laconicamente un Miche’, alla napoletana. Non esiste più il ragazzo di prima. C’è un Virgilio camuffato da bigliettaio che indica altre possibilità, un Pau, sulla strada che gocciola bisbigli.

E quel mondo immerge, sommerge. Poi arriva lo slang di una ragazza francese, Viola, e no, qualcosa si inceppa, la vena creativa si affanna, si depotenzia, o si esponentizza. Quello slancio autorale che ti fa scrivere a fine pagina 35 frasi intere tutte attaccate, senza spaziature, diventa doppia interlinea, si adagia, staziona con circospezione attorno ad una frase, si condensa in laghi di vischiosa prodezza artistica, appunti-poesie, frasi belle lumeggiate e lampeggiate, descrizioni arditissime, innovative, classiche. Che devi, assolutamente devi inserire da qualche parte nel libro, perché sono troppo belle per lasciarle fuori. Tu autore De Viola volevi una storia passatempo, dal tuo raptus creativo, qualcosa di leggero da scrivere nei margini di tempo. Ma la tua creatività ci tiene a donarti storie un po’ meno miserande tipo solo sesso, tanto sesso, solamente sesso, storie un tantino più faticosamente eterne. E allora ti impantani un po’, fermi il flusso del maelstrom, ricerchi, rileggi, rivedi, ripari, rappezzi, inserisci, cancelli, migliori... Non è un antifranchista che non ti vuole aiutare a scrivere la tua tesi, a rallentare il tuo estro poetico, come scrivono i critici letterari, promuovendo il tuo libro. Sei tu da solo a farti questo, tu che tenti il raffinamento di te.

Eri andato in Spagna (o in brodo di zizzole creativo) per scovare la Storia (quella da mettere nei libri, quella letteraria, per farla tu, la storia letteraria, per essere inciso tu tra i magnum). Ma prendi di mira la storia, quella con la s che non vuole né minuscola né maiuscola, la storia da vivere tutti i giorni, la storia della quotidianità, quella che ti riporta con i piedi per terra. Prendi di mira la storia, e perdi te, così pensi. Invece, conoscersi tra autore e personaggio è una nascita reciproca, nascosta nella donazione di sé. Io scrivo di te, Viola personaggio femminile del libro, conoscendo me, autore Pietro De Viola. Sono te, perché tu sei in me come un acrostico tra le righe, tu sei ciò che penso, ciò che escogito dopo l’introduzione, sei il corpo centrale, sei la mia vena creatrice non più sgorgante e zampillante, ma incanalata e gestita. Si, ogni tanto la sente, uno scrittore, quella folata creativa. Ma c’è l’ordinarietà e l’ovvietà che va avanti, c’è il lavoro… 

È necessario uno spirito superiore per elevarsi dalle secche volgari e ordinarie del desiderio di una bella auto, un conto in banca rispettabile, degli abiti, una casa, dei viaggi con gli amici. È necessario uno spirito raffinato per concentrarsi sulla vera essenza delle cose e liberarsi dal lusso. Per emergere ci vuole sangria, alcolica, spumeggiante, ma anche cristalli solidi di sale, piedi per terra, fatica, impegno dopo quella follia semestrale di passione letteraria, di corteggiamento delle meningi in amplesso con periferiche di input tipo tastiera wireless.

Attorno c’è un coro di fans letterari che aspetta: esci da questo corpo fisico, da questa terraglia, da questa ordinarietà burocratica; diventa luce, diventa parola, diventa vicenda. Cerca di farlo per le migliaia e migliaia di lettori come me, le migliaia e migliaia di nessuni, che vivono di digressione speculare e di intenzionalità intertestuale catulliana, o che aspettano un buon epillio alessandrino. Non restare imprigionato in altre impasse. Falla risuonare la tua parte creativa, la tua viola in Erasmus, sennò sarà lei prima o poi a fare fugone e accollarsi il suo bel gbecspaps, traducendosi in fasulla Layla. Accetta il germinatico che si fa prodotto fecondo. Non inghipparti ancora. Ogni fotogramma, ogni fatto, anche quello miserrimo di cinque, dieci anni fa, vive, se tu lo rendi eterno. Scrivi. Scrivi punto e basta. Che se la guardi da questa prospettiva, tu cerchi l’esotico di sangria español  col sale, lei si assesta sulla crème brûlée. Ma tutte le vite, tutte le scene, se osservate da una particolare prospettiva, possono essere considerate romantiche (per citare il tuo refrain) e possono chiederci dall’atto della loro trascrizione su libro: cari miei amichevoli fan… A proposito: sapevate di essere già in tre? Sicuro siete finiti qui per sbaglio. Ok, fa nulla, vi perdono. Però tornate, eh?

E noi rispondiamo che torniamo. Noi torniamo, autore De Viola. Siamo francesemente romantici. Pendendo dalla tua tastiera di pc, dal tuo prossimo flusso di estro creativo da recensire, aspettiamo il tuo scribendum est e noi la nostra parte di scena da vivere, leggendoti.
Non farci agonizzare di troppa attesa.
Dopo “Alice senza niente”, ci hai fatto pietire dieci anni. Non ti sembrano troppi?